giovedì 24 novembre 2011

Un ricordo, dedicato alla ragazzina che ero

La solita strada in salita, punteggiata da auto parcheggiate a casaccio e alberi pericolanti sulle loro radici quasi aeree, era l'unico, ripetitivo scenario per i miei pensieri tristi e le mie ossessioni scolastiche. Avevo quindici anni, nessuna consapevolezza delle mie qualità, e una faccia chiara e angolosa, con una fronte perennemente corrucciata e occhi scuri e sfuggenti. E soprattutto, avevo una paura incalcolabile delle ore di greco programmate all'inizio della giornata. E così, quando l'odiata materia era prevista alla prima ora, la mia strada in salita verso la scuola era un piccolo ma infernale calvario. Procedevo con lo zaino appesantito dai troppi libri e la testa bassa, anche lei pesante per la tristezza e la paura, calcolando ad ogni passo quale sarebbe stato quello giusto per fermarsi e cambiare direzione, verso una fuga indistinta e senza meta. Poi non riuscivo mai a farlo, quel passo di svolta e di fuga, e invece continuavo più triste e rassegnata di prima, nutrendomi di paura e frustrazione, e mentalmente ripetendo un inconoscibile aoristo al ritmo della mia andatura incerta. Aspettavo la curva alla fine della salita, l'odore confortante delle brioches al bar di fronte alla scuola, e poi il cancello detestato, dietro il quale immaginavo le peggiori disgrazie. Poco badavo ai compagni che mi salutavano e cercavano di scambiare qualche parola: ero troppo concentrata sul mio sperdimento e sulla nausea che sapevo in arrivo, quasi a liberarmi di tutta quell'ansia. La brutta e sgarbata professoressa, catalizzatore di tutti i miei drammi, entrava in classe, e io sentivo il primo conato, fortissimo. Chiedevo di andare in bagno, e lì mi chinavo sulla tazza del cesso e vomitavo acido perchè nulla ero riuscita a mangiare a colazione. Mi davo una lavata alla faccia guardandomi con severità nello specchio sbilenco, e mi preparavo al rientro in classe, dandomi una riassettata ai capelli e tirando qualche respiro più profondo. Pensavo per un attimo che facevo sempre le stesse cose, nello stesso ordine, le volte che c'era greco alla prima ora, e per un istante mi balenava in testa qualcosa di somigliante alla preoccupazione. Poi mi sentivo più sollevata, in fondo il peggio era passato, ormai ero lì, e potevo cavarmela, per un altro giorno ancora.

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