giovedì 3 maggio 2012

Noi veneriamo il silenzio

Io venero il silenzio. Non mi fa paura. A farmi paura è il rumore. Le voci esagerate. Le urla. Il chiasso. E infatti, a sottolineare il fatto che la vita è barocca (e lo è soprattutto la mia), mi ritrovo in un pulmino gran lusso a fare da docente accompagnatore a queste tremende ragazzine, sempre quelle del corso per parrucchiere, che oggi sono spaventosamente rumorose. I due soli maschi della classe, specie in via di estinzione, oggi sono assenti, e questo peggiora la situazione perché manca l’elemento calmante. Purtroppo siamo rimaste io e loro, queste sette fanciulle quindicenni, tutte carine, vestite come se dovessero sfilare per uno stilista di abiti da spiaggia, ai piedi o stivali o sandali alla schiava, capelli perfettamente in piega perché stiamo tornando dallo stage, e questo abbiamo fatto. La piccola M. invece stamattina non ha lavorato, ha trovato delle scuse per sottrarsi ad ogni compito che provavo ad affidarle, e io ci ho badato poco, stanca, distratta o forse troppo concentrata sul lavoro delle altre. Non so perché, o forse lo so, io ignoro questa ragazzina. Mi fa impressione, da quando ha preso per i capelli la sua compagna C. durante un’accesa discussione, e poi è stata per tutta l’ora successiva a tremare, trasmettendo a me, che le tenevo la mano sulle spalle per calmarla, la sua rabbia, e la sua paura. Oggi però ha trovato il modo per farsi vedere proprio bene da me, e dalle altre. Ha aperto spavalda uno dei finestrini del pulmino e scientificamente ha cominciato a sporgersi con tutto il busto, cantare a squarciagola e urlare oscenità a tutti gli automobilisti che le capitavano a tiro in tangenziale. A me ha preso un colpo. Ho visualizzato la piccola M. con la testa tranciata di netto da un camion di passaggio in corsia di sorpasso, e mi sono venuti i brividi. La responsabilità è la mia. Tento con le buone, niente, sembra presa da una specie di fuoco orgiastico, disorganizzato, che si alimenta dei rimproveri, e dei miei tentativi di riportarla alla realtà. La allontano, prendendola quasi di peso, dal finestrino, ma si divincola, sembra un capitone, e si diverte, ride, isterica. Al colmo della rabbia, la prendo per i capelli, ma è elastica, o forse ci è abituata, non le faccio niente, non accusa nessun dolore, anzi è galvanizzata. Sono disperata, mentre le altre ragazzine cominciano ad invitarla alla calma. -Stai esagerando, mò smettila- Non ascolta nessuno.
Mi scappa da dire- Se ti succede qualcosa, io declino ogni responsabilità-
-Sono minorenne, prussurè- e mi guarda con aria di sfida.
-Sei fuori dal corso, M.-
-Vaffanculo, prussurè. Culo. Culo-

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